Messaggio in bottiglia n°19 – La Solitudine

Nella nostra società contemporanea, tecnologicamente avanzata, dove il superfluo è imposto dalle leggi di mercato e i “social” travolgono quel poco di sociale che era rimasto, la solitudine è il principale stato d’animo che accompagna molti di noi. Si può essere soli in mezzo a una folla vociante, con più di cinquecento “amici” su Facebook, con migliaia di followers su Instagram, se sei sposato con tanti figli e anche se hai tante amanti, amici e parenti. Per chiederti se sei solo basta domandarsi: “Con quante persone posso dire effettivamente quello che penso? Con quante posso essere veramente me stesso, esprimere il mio disagio, le mie paure, le mie speranze?”

Si vive con il freno a mano tirato, sempre a trattenere dentro di noi tutto il disagio che viviamo, impegnati a far fronte alle urgenze quotidiane che si susseguono senza sosta, lasciati spesso soli da una società in cui “il sociale” è scomparso da tempo.

Prima? Ah, sì, prima eravamo meno soli, o almeno pensavamo di esserlo. I collettivi, i gruppi di autocoscienza, le discussioni in birreria, le serate a parlare di noi, condividevamo le nostre speranze e i nostri progetti con gli amici e i “compagni”. Ci scazzavamo per questioni di principio, ma ci raccontavamo tutto, gli amori, le delusioni, le gioie e i momenti difficili, facevamo parte di una vera comunità. Forse, come ha scritto Gaber, era una moda: “Quando è moda è moda, quando è moda è moda…”, o forse no, stavamo sperimentando un modo nuovo di vivere la vita e di condividerla con gli altri. Ora molti, tanti, ma proprio tanti, stanno attaccati allo smartphone o davanti a un computer per vivere così la loro vita sociale. C’è chi si rimbambisce di serie TV e chi dei reels di Instagram, soli, su un divano o una poltrona a vivere così la nostra triste solitudine.

E sempre per citare Giorgio Gaber, forse… : “C’è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l’ultima salvezza, c’è solo la voglia, il bisogno di uscire, di esporsi nella strada nella piazza. Perché il giudizio universale non passa per le case, le case dove noi ci nascondiamo. Bisogna ritornare nella strada, nella piazza per conoscere chi siamo”.

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2 commenti

  1. Che bel testo , come un riepilogo che serva da pro memoria , semplice perché filtrato dalla sensibilità , amaro ma senza disperazione perché , in fondo , come appunto dice Gaber , c’è ancora una possibilità , una apertura , una strada , una conversazione autentica possibile

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