Per questo secondo messaggio in una bottiglia ho preso spunto da un libro di Erri De Luca “Il più e il meno” e più precisamente da questi versi:
“Ho visto un mio libro tra le mani di una donna…Ho visto un mio libro tra le mani di una donna. Era seduta in un vagone della metropolitana, le sue dita stringevano le pagine per tenerle ferme, le voltavano delicatamente. Ho saputo che i libri hanno una sorte migliore di quella che spetta a chi li scrive. Eccoli tenuti in braccio, portati in viaggio, su un’isola del Sud o in una tenda in montagna, fissati con intensità da un paio di occhi che farebbero subito abbassare i miei. I libri se la passano meglio di chi li fa.Benedico la sorte di scrivere racconti e non cronache per giornali, perché a fianco della donna c’era un uomo con un quotidiano. Lo girava a colpi bruschi, lo leggeva scontento, poi l’ha ripiegato e l’ha ficcato in tasca. Prima di sera l’avrà spedito in un cestino, al macero. Fortuna invece le mie pagine in braccio a una donna seduta. Ho avuto voglia di scriverne subito una per aggiungerla in fondo al suo libro. Non sono più mie le parole che ho scritto, sono diventate sue. Le ha volute, pescando proprio quelle nel gran bazar dei libri… E ora stanno là: sopra le sue ginocchia, sfiorate con un tocco di carezza, coi capelli che scendono a sipario. Prese e tenute così, quelle pagine sono più sue adesso di quanto siano state mie prima.”
Leggendo queste righe ho pensato alla “dematerializzazione”, in modo particolare per quello ce riguarda i libri. Il fatto che un pensiero, un’emozione, un concetto, vengano scritti su un libro e che questo diventi un veicolo solido, materiale, nelle mani di qualcuno, danno allo scrittore di quelle parole un’assunzione di responsabilità perenne, difficilmente ritrattabile, e passano il testimone al lettore, che può tenerlo per se o trasferirlo ad altri, diventandone lui stesso un messaggero dei contenuti. Se scriviamo qualcosa è perché desideriamo che venga letto, almeno nella maggioranza dei casi. Se questo è vero, il concetto del pensiero dematerializzato funziona bene sui social: messaggio breve, di rapida fruizione, di facile riproduzione e divulgazione. Ma così come è rapida la diffusione, è altrettanto veloce la sua dissoluzione. Bisogna avere una salda memoria e confidenza con gli strumenti della comunicazione digitale, per gestire questo flusso imponente di concetti e informazioni. Ma un libro è qualcosa di più di un post o di un articolo, per quanto complesso. C’è dentro una parte importante di chi lo ha scritto bella o brutta che sia, con la quale possiamo essere d’accordo o in completo disaccordo, c’è un lavoro più o meno lungo di messa a punto, di continua revisione, di ricerca delle parole migliori, che sono gli strumenti a nostra disposizione per veicolare il messaggio che vogliamo condividere con il lettore. Per carità non sono contrario agli e-book, ne comprendo l’importanza per l’editore, nel contenere i costi di stampa ormai difficilmente sostenibili in proporzione al numero dei lettori, l’utilità per chi viaggia, per i pendolari, per avere in un unico oggetto tutta la propria libreria… Avere? No, la puoi “vedere”, non “avere”. A volte, passando davanti alla mia libreria, lo sguardo passa veloce sui titoli e sulle copertine, l’attenzione viene catturata da un libro che non ricordo, lo prendo, leggo la quarta di copertina e capita spesso, mi viene voglia di rilleggerlo. Se fosse stato un e-book, quel libro, ormai perso nella mia memoria, sarebbe scomparso dalla mia libreria virtuale perchè non ricordandolo non avrei mai avuto l’intenzione di cercarlo. Se un giorno qualcuno decidesse che leggere “è male”, non servirebbero più i roghi di libri del terzo Reich (Notte dei Cristalli, 10 maggio 1933, piazza del Teatro dell’Opera di Berlino) o quelli di “Fahrenheit 451”, sarebbe sufficiente “hackerare” i server e distruggere gli hard disk che li contengono. Se non hai il collegamento vedi solo il libro che stai leggendo e quelli salvati sul tuo e-book. Se i server del tuo provider (Mondadori per Kobo, Amazon per Kindle etc…) non funzionano, tu non hai più nulla. Ripeto, comprendo l’utilità dell’e-book ma sono terrorizzato dal nuovo medioevo della cultura e della conoscenza che vedo fare capolino un po’ in tutto i paesi occidentali.
Se non ci fossero stati gli Arabi, che a partire dai secoli VII-VIII d.C. trascrissero i testi greci dell’età classica ed ellenistica, noi avremmo perso secoli di cultura e scoperte. In seguito, sempre tramite gli Arabi, questi passarono in Spagna e che, tradotti in latino grazie anche al lavoro di centinaia di Amanuensi, sono infine pervenuti all’Europa cristiana. Gli Arabi accolsero e tradussero dei greci quasi esclusivamente i trattati filosofico-scientifici, trascurando il vasto giacimento letterario, che invece desterà l’interesse più vivo degli umanisti europei dal Quattrocento in poi. Ma se arrivasse un nuovo medioevo, con strumenti più potenti e più sottilmente efficaci di distruzione, chi salverà il più profondo bene della conoscenza? Chi sono in nuovi Arabi e i nuovi Amanuensi del terzo millennio, che traghetteranno la conoscenza alle generazioni future?
FL
Caro Lupo, come non condividere la tua riflessione…
Proprio l’altra sera ti ho confessato la mia diffidenza verso il “libro” in formato digitale.
Questa diffidenza non è antistorica o preconcetta, è solo una parte del ragionamento sull’effimero rapporto tra la mente e la velocità delle dita su uno strumento digitale.
Viviamo nel mondo effimero del retweet di commento al tweet sul tweet di commento alla notizia. Altro che Quotidiano ripiegato e messo in tasca per essere gettato alla sera, quella povera notizia è cestinata prima che qualcuno possa analizzarla o verificarla.
Per la mia scelta di vita uso il digitale, con la stessa insana e colpevole consapevolezza della sua volatilità.
Io mi sento un traghettatore del terzo millennio, che porta l’immagine dei Luoghi della Cultura e una pillola di conoscenza oggi in tutto il pianeta e domani alle generazioni future, ma come sai “nemo propheta acceptus est in patria sua”.