E’ una giostra che va, questa vita che gira insieme a noi e non si ferma mai
E ogni vita lo sa che rinascerà
In un fiore che fine non ha
E’ sabato, oggi posso finalmente fare le cose con calma, la doccia, tagliarmi la barba, insomma, senza la solita fretta di uscire presto per evitare il traffico. Mi asciugo velocemente i capelli, prendo il rasoio e aggiusto lo specchio.
Lo specchio, accidenti!
Borse sotto gli occhi, le rughe che aumentano, dicono: “sono d’espressione”, bella consolazione. Ma a poco a poco la faccia che vedo nello specchio non sembra più la mia. Gli occhi, gli occhi non sono più gli stessi. Sì certo, la barba e i capelli sono un po’ più bianchi ma non è questo che mi lascia sconcertato, è la luce, l’espressione dei miei occhi che è cambiata. Cacchio! Io non me li sento 63 anni, mi sembra di avere sempre la stessa testa di quando ne avevo trenta, ma lo specchio non é d’accordo e mi rimanda un’immagine che non mi aspetto. Mi sbatte in faccia una realtà diversa dal mio “vedermi” dall’interno.
Ma c’è qualcosa di più, c’è un disagio maggiore dovuto a qualcos’altro. A poco, a poco si fa largo la vera ragione di quello stato quasi di angoscia. Realizzo all’improvviso che la faccia riflessa non è più la mia, è quella di mio padre. Accidenti come gli assomiglio! Sembra quasi che l’immagine che ho di me in testa e la sua, che ricordo bene, si sovrappongano, sfumando piano piano come nella sequenza di un film. Una metamorfosi. Mi viene in mente il cartone animato Il Re Leone, le parole di Rafiki: “Ricordati chi sei!”.
Improvvisamente sale una profonda nostalgia, non ho avuto un rapporto facile con mio Padre. Eravamo così diversi, io ottimista inguaribile e sognatore, lui pessimista, un po’ depresso e con i piedi per terra. Da piccolo quasi non me lo ricordo, non c’era mai, era sempre al lavoro, al giornale. Lui usciva da casa prima dell’ora di pranzo, quando io ero ancora a scuola, e tornava a notte fonda, quando avevano chiuso l’edizione del quotidiano, e io dormivo. Poi crescendo ho cercato di intercettarlo, aspettavo che tornasse anche tardissimo. Due spaghetti “cacio e pepe” alle due notte, per scambiare almeno quattro chiacchiere.
E poi i primi scontri, le opinioni politiche divergenti, io Democrazia Proletaria, lui Socialista (non Craxiano ma Lombardiano, per l’alternativa di sinistra). I divieti apparentemente illogici a me e alle mie sorelle, dettati essenzialmente dalla paura che ci potesse succedere qualcosa. Erano anni di piombo gli anni ’70 e per il genitore di un adolescente la preoccupazione era più che giustificata, ma noi non lo capivamo, troppo presi a voler cambiare il mondo. E poi la sua visione negativa del mondo e delle persone: ”guarda che quello è un falso amico, se ne approfitta”, “attento, non ti fidare”. Io non potevo accettare che quelli che credevo “compagni” o “amici”, potessero approfittare della mia buona fede, che potessero avere retro pensieri o peggio, che agissero a mio discapito. Ma la cosa che più mi fa incazzare e mi rode dentro, è che adesso so che, nella maggioranza dei casi, aveva ragione. Ma so anche che lui stesso non metteva in pratica queste raccomandazioni, di fregature e disillusioni ne aveva fatte anche lui una bella sporta.
Torno a guardarmi nello specchio, lo vedo, è lì che mi guarda attraverso i miei occhi. L’espressione, lo sguardo un po’ malinconico di quando era avanti con gli anni, di quando, finalmente, ci comprendevamo, di quando sentivo il suo interesse e apprezzamento per quello che facevo. Ma sento che la sua eredità non è solo in questa faccia, in questa espressione che sempre più spesso tende all’amarezza del vivere quotidiano e delle imprese incompiute o fallite, e per questo gli assomiglia di più. La vera eredità, mi rendo conto, è nell’etica, nel pensiero, nella coerenza che mi ha trasmesso con l’esempio, senza insegnarmela. Ora capisco, certo, non sono come lui, ho un altro carattere, sono più combattivo, non mi arrendo e poi l’inguaribile ottimismo tende sempre a riaffacciarsi, nonostante tutto. Ma credo negli stessi valori, nella stessa etica, che poi ho cercato di trasmettere alle mie figlie. Lui è una parte di me non solo biologica, ma profondamente spirituale. In fondo non sono altro che la versione 4.0 di mio padre!
E’ questo, che vedo nello specchio. Non sono solo le rughe e gli scherzi del tempo, è il cerchio della vita, che continua oltre noi senza sosta, e questa riflessione mi trasmette un senso di pace, un’accettazione del destino di perdere qualcuno a cui tieni, come un avvicendamento ineluttabile, con un “fil rouge” che ci unisce per generazioni.
Ricordati chi sei!
Bravo Flavio , profondo e commovente
Grazie Raffaele
Molto bello!
Grazie Gino
Molto sensibile e delicato. Spero che mia figlia possa un giorno pensare a me nella stessa maniera.
Grazie, credo che sia così per ogni genitore. Spero anche che sia un modo per le mie figlie di accettare che un giorno non sarò più con loro.