Questo nuovo spazio del sito “Il Lupo Cerviero” è destinato a racconti e libri pensati e scritti per arrivare a un pubblico di giovani in età scolare, “under 13” per capirci.
La conoscenza porta consapevolezza e capacità di analizzare e valutare le situazioni, di arrivare a conclusioni e di dare giudizi ragionati. Qualche tempo fa, rimasi impressionato da una lettera, riportata dai giornali, di un professore scomparso prematuramente, scritta ai suoi alunni il suo ultimo giorno d’insegnamento. Riporto alcune righe particolarmente significative:
“… usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha; non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi: infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non “adattatevi”, impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa: voi non siete il futuro, siete il presente.”
Ovviamente gli interlocutori “preferenziali” dovrebbero essere i giovani, e aggiungo di qualsiasi età, perché, anche la natura lo insegna, l’imprinting comincia presto. Per i popoli del Mediterraneo, questa cosa era chiara già molti secoli fa. Gli antichi Greci chiamavano “paideia” (da pais, bambino) l’educazione che i ragazzi ricevevano dopo i 7 anni d’età. Il suo obiettivo mirava a formare dei perfetti cittadini attraverso un insegnamento: letterario, retorico, scientifico e filosofico, senza dimenticare l’educazione fisica e artistica. Formatasi in epoca arcaica, la “paideia” si estese a tutte le regioni del Mediterraneo, divenendo un esempio formativo per tutti i popoli.
Anche per i Romani l’educazione era un fatto sociale, per inserire i giovani nella vita della città quindi con un intento civico; il cittadino romano doveva sapersi comportare di fronte alla collettività in modo adeguato. L’educazione e la cultura romana hanno un intento più pratico e meno speculativo rispetto al mondo greco. I romani usano il termine “educatio” per indicare la prima formazione volta allo sviluppo delle attitudini fisiche, morali e intellettuali; la formazione culturale vera e propria è rimandata agli anni successivi è un’educazione raffinata e fondata su valori morali, chiamata “humanitas”.
Dovete sapere che Micione, oltre a essere il soprannome che mi ha affibbiato la mia dolce metà per alcuni miei aspetti caratteriali, è anche il nome di un personaggio della commedia di Terenzio intitolata Adelphoe. Protagonisti della commedia sono due fratelli, Demea e Micione, che Terenzio ritrae alle prese con l’educazione dei figli. Terenzio consapevole del fatto che non ci sono ricette assolute, perciò propone due modelli antitetici: Demea fautore di metodi fondati sulla severità, sul valore dei NO che aiutano i figli a crescere e ad affrontare la vita; Micione crede, invece, nella forza del dialogo e io mi riconosco di più in questo personaggio, nella sua ricchezza e nei suoi limiti.
Imprinting, Paideia, Educatio, Humanitas, comunque la si chiami, da Terenzio ai giorni nostri, l’idea non è cambiata. Educare significa, infatti, guidare, testimoniare con l’esempio come vanno affrontate le vicende della vita: le sfide con coraggio, il successo con senso della misura e le sconfitte, non come fallimenti, ma come esperienze inevitabili da cui imparare a risollevarsi.
Fatte queste considerazioni e senza avere la pretesa di diventare un “educatore”, ho cominciato a scrivere dei racconti per ragazzi in età scolare, che, in maniera semplice, introducano elementi di amore e rispetto per la natura e ne stimolino la voglia di conoscere. Instillare il germe della conoscenza, della curiosità, della voglia di vedere e di toccare il mondo che è fuori dalle quattro mura dentro le quali, la maggior parte dei giovani d’oggi, trascorre la sua vita fatta di esperienze di “realtà virtuale” e di universi digitali.