Sono stato molto indeciso se arrotolare questa pagina e inserirla in una bottiglia per lanciarla poi nel mare grande del web. La mia indecisione nasceva proprio dall’annichilimento provocato dalla dimensione dell’orrore a cui stiamo assistendo. Poi ho cambiato idea quando un troll da tastiera, rispondendo a un mio commento alle immagini che mostravano decine di bambini e di ragazzi infilati dentro dei grandi sacchi mortuari, recuperati dopo il bombardamento da parte dell’esercito israeliano di un campo profughi, in cui rivendicavo il diritto alla vita di quelle vittime innocenti, mi ha scritto: «Povero idiota tu credi ancora alle favole, Israele si deve difendere».
Il massacro dei civili è una prerogativa dell’uomo contemporaneo. Fino alla Prima Guerra Mondiale, quasi tutte le vittime delle guerre erano i soldati degli eserciti che si scontravano.
Con l’aumento del potenziale bellico, dalla Grande Guerra in poi, le vittime civili diventarono via via più numerose. Nella Prima Guerra ci furono dai 15 ai 17 milioni di morti, dei quali 3,6 milioni di civili. Nella Seconda Guerra Mondiale su circa 60 milioni di morti complessivi 40 milioni furono civili. Questa escalation ha due cause principali, una già citata che è la forza devastante degli ordigni bellici, la seconda, ben più grave a mio avviso, è che i civili sono diventati il vero obiettivo delle azioni di guerra. L’annientamento dell’avversario che si cerca di raggiungere è totale, non lo si vuole sconfiggere, lo si vuole cancellare dalla faccia della terra. Il cinismo e la ferocia con la quale sono state effettuate azioni nei confronti di civili nell’ultimo secolo hanno assunto dimensioni che non si possono ignorare. L’olocausto è il fatto storico più evidente ed eclatante, oltre agli ebrei aveva come obiettivi tutte quelle minoranze scomode, i diversi e gli avversari politici. Lo includo nelle azioni di guerra perché lo scopo era proprio quello di cancellare un intero popolo. La modalità scelta per portare a compimento quest’azione, folle e criminale, ha fatto inorridire il mondo ma, fatti i dovuti distinguo, non sono state aberranti anche altre azioni belliche che hanno avuto come obiettivo principale i civili? Il bombardamento di Dresda (40.000 morti, quasi tutti civili), le bombe di Hiroshima e Nagasaki (250.000 morti tutti civili), tanto per citare i più noti e disastrosi. Tra questi atti criminali di guerra ci metto anche i bombardamenti di questi giorni della striscia di Gaza, finora 9.000 morti di cui 4.000 bambini.
La cosa da osservare è che, per tutte queste atrocità perpetrate dall’uomo, chi le attua ha sempre un ottimo (per lui) motivo storico o religioso per farlo. Il genocidio compiuto dai nazisti si basò su un’ideologia razzista che vedeva gli Ebrei come “una specie parassita”, degna soltanto di venire estirpata in modo definitivo. In realtà l’obiettivo era impossessarsi dei loro beni e trovare un capro espiatorio per addossare a qualcuno la colpa della profonda crisi economica in cui era sprofondata la Germania dopo la Grande Guerra. Il bombardamento di Dresda, da parte degli angloamericani, aveva come pretesto la distruzione del nodo ferroviario, peccato che venne raso al suolo il centro storico e che vennero uccisi 40.000 civili, la maggior parte anziani donne e bambini. I bombardamenti durarono due giorni, alla prima ondata gli aerei sganciarono bombe ad alto potenziale distruttivo per radere al suolo gli edifici, alla seconda gettarono bombe incendiarie per penetrare nei rifugi antiaerei che era sotto i palazzi. Il chiaro obiettivo era colpire l’opinione pubblica tedesca e accelerare la fine della guerra con questo atto terroristico. Stessa cosa dicasi per le bombe atomiche sganciate sulle città giapponesi, far finire prima la guerra considerando i 250.000 morti innocenti un male necessario. Ora li chiamiamo ipocritamente “vittime collaterali”. Neanche a dirlo queste “giustificazioni” sono le stesse che sta adducendo Israele per il bombardamento dei campi profughi, dove secondo loro si celano i terroristi di Hamas e degli ospedali sotto i quali, sempre secondo loro, sono nascosti i loro avversari. I malati, le donne, i bambini che vengono dilaniati dalle bombe sono un male necessario. In queste azioni sono stati uccisi più di 30 operatori umanitari dell’ONU e dell’UNHCR, 29 giornalisti e altrettanti medici e infermieri.
L’ultimo aspetto che accomuna queste azioni abiette dell’uomo è che, nella maggioranza dei casi, tutto viene fatto in nome di un Dio. Da quando esistono le religioni monoteiste questo povero Padreterno viene tirato per la giacca e viene usato come una clava contro ogni avversario. Un Dio terribilmente umano a cui attribuiamo i nostri difetti, la nostra ferocia e le nostre meschinità.
“Gott mit uns”, Dio è con noi, era scritto sulle fibbie delle cinture dei soldati del Terzo Reich. E in nome di quel Dio commettevano le peggiori atrocità.
Gli Imam integralisti lanciano anatemi e in nome di Dio incitano a una guerra santa. L’espressione araba “Allah akbar” o “Allahu akbar” viene ormai quasi esclusivamente associata all’estremismo islamico, perché viene spesso pronunciata prima di molti attentati terroristici. In realtà, però, questa espressione – che significa letteralmente “Dio è il più grande” – non è esclusivamente legata al jihadismo e non è una specie di slogan dei terroristi: ha a che fare più generalmente con la religione ed è un’esclamazione di uso comune tra i musulmani.
Nel suo recente discorso fatto alle Nazioni Unite, Netanyahu ancora una volta ha optato per i cliché del Regno di Davide; dalle promesse divine fatte nella Bibbia al popolo ebraico al legame spirituale di quest’ultimo con la terra di Israele. “Tremila anni fa – ha ricordato il premier – Davide ha regnato sullo Stato ebraico nella nostra capitale eterna, Gerusalemme”. Un ottimo pretesto per una nuova guerra santa.
In questo momento, al mondo, ci sono 59 conflitti armati: Palestina, Yemen, Siria e Ucraina sono quelli più presenti nella cronaca di tutti i giorni. La vita umana in questi paesi non ha alcun valore, l’ONU è ormai un organismo impotente e le sue risoluzioni sono assolutamente inefficaci, basti pensare all’ultima che chiedeva il cessate il fuoco in Palestina alla quale gli Stati Uniti hanno posto il veto e alcuni stati europei, tra cui il nostro, si sono astenuti.
Mi perdonerete se questa volta non sono stato positivo o leggero come in altre situazioni ma nella mia vita ho assistito a tante nefandezze, bombe nelle piazze gremite di gente, sui treni degli immigrati che tornavano a casa per le ferie estive, colpi di stato militari, stadi di calcio utilizzati come campi di concentramento e luoghi di tortura, guerre inventate per arsenali chimici inesistenti e così via, ma un simile eccidio, lucido e cinico, di persone innocenti, di bambini, donne e uomini inermi, di queste dimensioni non lo avevo ancora mai di visto. Gli anticorpi dell’ultima Guerra Mondiale non sono più efficaci, se non corriamo ai ripari, un nuovo conflitto di immani proporzioni sarà inevitabile, ma questa volta non so se rimarrà qualcuno a raccontarlo.
L’orrore che è scaturito dall’attacco di Hamas del 7 ottobre ha resettato la nostra memoria collettiva (già di suo tendente ad essere piuttosto labile) ma la Storia non è cominciata quel giorno.
L’ipocrisia e la doppia morale di noi occidentali si rivela pienamente nel modo con cui (non) stiamo affrontando quello che accade a Gaza. Come con i nativi americani, portiamo la civiltà con le armi, violiamo i trattati e se qualcuno non vuole farsi civilizzare o, addirittura, prova a reagire con le armi che riesce a rimediare, arrivano le “giacche azzurre” con l’artiglieria a difendere i nostri sacri valori.
Su Gaza, in 3 settimane, sono piovute bombe equivalenti a due volte la bomba di Hiroshima e a 5 volte quelle cadute su Dresda. Un ministro israeliano ha anche esplicitamente ipotizzato di usare l’atomica su Gaza E non si vede la fine. Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant (dove fanno il deserto, lo chiamano pace). Tacito fa pronunciare questa frase ad un generale dei Caledoni, patriota in difesa del proprio paese contro l’invasione romana.
Un blogger cingalese (https://indi.ca/) scrive cose molto aspre (ma non per questo necessariamente errate) su questa doppia morale. Al di là del condividere o meno tutti i suoi post, lui rappresenta un diffuso punto di vista nei tre quarti dell’umanità sfruttati per garantire la nostra prosperità. E in uno degli ultimi post solleva un punto interessante: abbiamo un paese che non ha aderito al trattato di non proliferazione nucleare e che è in possesso di armi nucleari, che occupa territori che non gli appartengono, che ignora la gran parte delle risoluzioni ONU che lo riguardano, che bombarda popolazioni civili anche con armi proibite come le bombe al fosforo. Che spara sulle ambulanze e sugli ospedali. Che bombarda aeroporti di paesi con cui non è in guerra. Che uccide giornalisti scomodi e le loro famiglie. Non rientrerebbe nella definizione di Stati canaglia, tante volte utilizzata per giustificare le nostre guerre umanitarie?
Vale la pena notare che non facciamo guerre umanitarie, giusto per dare un paio di esempi, per evitare l’osceno sfruttamento del lavoro minorile nelle miniere congolesi e non siamo intervenuti per evitare il genocidio in Ruanda.
Può essere anche utile, per capire cosa intendiamo per guerre umanitarie, dare un’occhiata a questo rapporto ONU del 2019 (tempi non sospetti) The Economic Costs of the Israeli Occupation for the Palestinian People: The Unrealized Oil and Natural Gas Potential.
Molto ci sarebbe da dire ancora, sulle molteplici crisi che l’umanità deve affrontare, le cui conseguenze pesano, ancora una volta, su quella parte dell’umanità che poco o nulla ha fatto per innescarle.
Il colonialismo ha cambiato nome e modalità, ma è vivo e vegeto. E insieme al mito della crescita sta distruggendo il pianeta.
Collegandomi al discorso di Netanyahu citato da Flavio provo a chiudere sorridendo, molto amaramente, con due righe di Daniele Luttazzi dal Fatto Quotidiano del 4 novembre:
«L’altro giorno mi suonano alla porta: “Salve. Il nostro Dio ci ha detto che questa è casa nostra”. “Me ne vado subito”»
Grazie del tuo commento, ne condivido anche le virgole. Tutto questo mi da un senso di impotenza incredibile, che non ho mai avuto.
Condivido parola per parola!
Restiamo tutti attoniti di fronte a tanta ferocia. Paralizzati. Disorientati.
Da una parte un popolo segregato in spazi sempre più ristretti, originariamente e legittimamente abitanti di quelle terre e dall’altra NON un popolo ma gente accomunata dalla stessa confessione religiosa (anche se con diverse declinazioni) che da sempre rivendica la disponibilità della “Terra di Giacobbe” (da cui probilmente deriva il nome di Israele) e che le grandi potenze hanno voluto assecondare per dissolvere quel comune senso di colpa conseguente all’olocausto. In fondo, gli ebrei, si possono definire “popolo” solo dopo la costituzione dello Stato di Israele (1948), ma la maggior parte di essi continua a vivere nei rispettivi Paesi di nascita senza sentire alcun bisogno di trasferirsi.
Quindi, attriti sul territorio esistono fin dalla fine della prima guerra mondiale, accentuati dal 1948 con la nascita di Israele, con attacchi reciproci, a più ondate, con i Paesi confinanti.
La situazione è così complessa e ingarbugliata che diventa difficile venirne a capo.
Tornando ad oggi, pensa a quanto sarebbe stata più potente l’accettazione da parte di Israele dell’assalto di Hamas al rave, reagendo esclusivamente per difendersi da ulteriori incursioni. Sembra un controsenso ma credo, invece, che sarebbe stato un messaggio di grande tolleranza, umanità e disponibilità a continuare nel processo di pacificazione con i palestinesi e più in generale con il mondo arabo e il definitivo riconoscimento di Hamas come organizzazione terroristica e la sua messa al bando a livello mondiale, insieme ai Paesi che la sostengono.
Israele ne avrebbe ricavato in considerazione e si sarebbero risparmiate (e altre ce ne saranno ancora) migliaia di vittime innocenti.
Senza contare che il più efficace organismo di intelligence al mondo, il Mossad, in questa occasione ha fallito miseramente.
C’è da essere preoccupati per la possibile escalation …
Un caro saluto.
S.