Mio Padre, anche se non era credente, aveva una autentica passione per il presepe e ne faceva di bellissimi. Quando si avvicinava il periodo di Natale, ci portava in giro per Roma a vedere i presepi realizzati nelle chiese. Il più bello e ricco di personaggi era quello di una della due “chiese gemelle” di Piazza del Popolo, se non ricordo male, Santa Maria di Montesanto.
C’è da dire che il suo presepe non aveva nulla da invidiare a quelli che visitavamo. Iniziava la costruzione quasi un mese prima, realizzando una struttura di legno, una specie di piccolo teatro con la volta del cielo piena di stelle, che occupava metà del salotto. Con gli anni lo fece sempre più tecnologico con un torrentello d’acqua che lo attraversava, il sole che sorgeva da dietro i monti e l’alternarsi del giorno e della notte, tutto sincronizzato con la musica ei rumori delle botteghe degli artigiani. Sì, le botteghe, perché il presepe di mio padre era, prima di tutto, lo spaccato di un piccolo paese felice. C’era il mulino per fare la farina, con il somaro che girava in tondo facendo andare la macina, l’arrotino, il fornaio, acquaiolo, il mulattiere e i contadini presi dalle loro attività: quello che portava la legna, quello che portava il maiale al mercato e, in fine, i pastori, con numerose greggi di pecore al seguito. Gli zampognari avevano un ruolo speciale perché erano messi vicino alla capanna dove sarebbe dovuto arrivare Gesù Bambino.
Chiaramente di Betlemme c’era ben poco, a parte la “Sacra Famiglia”, ma c’era molto dei nostri paesi e delle nostre montagne, un po’ come a Greccio.
Ma se non era credente, cosa c’era dietro questa passione e cura per il presepe? Come si giustificava questa contraddizione?
In fondo, in tema di contraddizioni sul rapporto tra ateismo, valori cristiani e religione aveva qualificati predecessori. Basta ricordare le parole di Natalia Ginzburg, che era atea e di famiglia ebrea, in merito al crocifisso: “È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo.
Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo “prima di Cristo” e “dopo Cristo”. O vogliamo smettere di dire così? Il crocifisso è simbolo del dolore umano.”
Che l’etica cristiana impregni le nostre vite, atei, agnostici o credenti, è un dato di fatto, ma nel presepe di mio padre c’era di più: c’era la famiglia, il suo “porto sicuro”, quella che negli anni ’60 era il nucleo base di quel modello di società. A Natale la famiglia si raccoglieva intorno al quel simbolo, i figli tornavano con le loro famiglie, si ripeteva un rito che voleva rinsaldare i legami, superare eventuali divergenze in nome dell’affetto reciproco. Purtroppo, sappiamo bene che la realtà era ben diversa. In genere attriti e dissapori venivano solo riposti in un cassetto per essere prontamente recuperati dopo le feste, avete presente “Natale in casa Cupiello”? Negli anni ’70 avevamo provato a far saltare il tavolo e a mettere sotto processo quel modello di famiglia “borghese”. Ricordate “L’origine della famiglia” di Engels o “La morte della famiglia” di Cooper?
Purtroppo, non siamo stati capaci di proporre un modello di società alternativo che “funzionasse” meglio e dopo qualche decennio si è tornati indietro con le stesse contraddizioni e gli stessi limiti.
Una piccola breccia si è aperta nella composizione della famiglia che, almeno per alcuni, adesso può essere composta da due padri o da due madri, ma gli equilibri al suo interno temo che non siano cambiati.
Allora sapete che vi dico? Mi prendo tutte queste belle contraddizioni e il presepe lo faccio anche io. Non è bello e tecnologico come quello di Papà ma sto migliorando di anno in anno. I pupazzi di carta pesta sono quelli che usava lui e li ritrovo ogni anno aprendo la scatola come fossero vecchi amici. Quello che mi è sempre piaciuto di più è un pastorello che suona un flauto e ha un agnellino accovacciato ai suoi piedi, quello lo metto più vicino alla grotta.
A questo punto non mi resta che auguravi un sereno Natale, con la speranza che, prima o poi, l’essere umano capisca il messaggio fondamentale che duemila anni fa, quell’uomo o figlio di dio che fosse, ci ha regalato, pagando a caro prezzo il suo coraggio: ama il prossimo tuo come te stesso.
E lo faccio con una poesia del grande Trilussa
Er Presepio
Ve ringrazio de core, brava gente,
pé ‘sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,
si de st’amore non capite gnente…
Pé st’amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare ‘na voce
sperduta ner deserto, senza ascolto.
La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l’amore
è cianfrusaja che nun cià valore.